1. Linee operative per un programma alternativo
2. Il programma di Frosinonebenecomune
3. Sintesi del programma
 
1. LINEE OPERATIVE PER UN PROGRAMMA ALTERNATIVO

AGRICOLTURA

Ø Preservare le aree agricole da ulteriori insediamenti abitativi sparsi; favorire l'aggregazione abitativa rionale, individuando aree di completamento (variazione del PRG), che abbatta i costi di urbanizzazione del Comune e promuova il concetto di comunità.
Ø Preservare le aree agricole dal dissesto idrogeologico attraverso la realizzazione di sistemazioni idraulico-agrarie (con intervento pubblico diretto e/o finanziamento delle opere)
Ø Favorire la ricomposizione fondiaria
Ø Promuovere i prodotti locali favorendo l'associazionismo tra piccoli produttori con la realizzazione di un marchio di "prodotti Frosinone", con particolare riferimento a olio, frutta locale, confetture e insaccati.
Ø Riscoprire antiche varietà locali di fruttiferi, preservarle dall'estinzione e promuovere la coltivazione e commercializzazione.
Ø Intervento contro le produzioni transgeniche dichiarando il territorio comunale "transgenic free"

CASA

Ø Allargamento dell'offerta pubblica di alloggi recuperando il centro storico e tutte le abitazioni chiuse
Ø Agevolazioni per le fasce più deboli per sostenere l'affitto
Ø Penalizzare le case sfitte nelle aree urbane
Ø Costituzione di un ufficio che si occupi di passare al setaccio il patrimonio immobiliare pubblico interno al comune di Frosinone e verificarne l'effettivo utilizzo

COMMERCIO

Ø Dimensionamento dei centri commerciali in base alla reale domanda del bacino d'utenza
Ø Sostegno alle attività artigianali, con particolare riferimento al piccolo artigianato tradizionale.
Ø Informazione su un consumo più equo e solidale (in questo si dovrebbe iniziare dalle mense e in tutti quei servizi collettivi in cui il comune può (e deve) esercitare un potere discriminante)

AMBIENTE

q Realizzare e riscoprire "percorsi natura" nelle zone di campagna per favorire un turismo ecologico o attività ricreativa e sportiva.
q Promuovere fonti rinnovabili e riduzione dei consumi energetici, abbattere drasticamente le tariffe RSU per chi si impegna nelle campagne nella pratica del compostaggio domestico, favorire la realizzazione di tetti fotovoltaici e impianti solari (con incentivazione e contributo pubblico)
q Realizzare un impianto di generatore eolico di elettricità sul territorio comunale a gestione pubblica
q Riduzione del consumo e sviluppo di un sistema di riciclaggio sistematico delle merci, invece delle discariche e inceneritori
q Combattere l'elettrosmog, con la rimozione di tutti i ripetitori installati nei pressi dei centri abitati
q Diminuzione dell'inquinamento luminoso

TERRITORIO

o Abbattimento o riconversione delle opere inutili e non utilizzate
o Fine della costruzione delle strade
o Potenziamento viario della Monti Lepini
o Una forte iniziativa pubblica per recuperare i luoghi ecologicamente degradati, con particolare riferimento alla zona del Casaleno, l'area del Fiume Cosa, la zona del Laghetto di Maniano.
o Una forte iniziativa pubblica per recuperare i luoghi socialmente ed urbanisticamente degradati per i progetti edilizi di futura costruzione l'impiego di materiali che garantiscano una riduzione dei consumi energetici.
o Obbligatorietà del bilancio energetico dettagliato per il riscaldamento, l'illuminazione e l'eventuale aerazione dei locali)
o Apportare le necessarie variazioni al PRG affinché tutte le aree urbane non edificate, fatto salvo quelle destinate a servizi, siano attrezzate a verde pubblico.
o Varare la riforma urbanistica che affronti i nodi del rapporto tra città e ambiente. Come? Bandite un concorso già adesso. Anche se non vinciamo dobbiamo comunque avere delle proposte da opporre a quella che sarà la futura maggioranza

COMUNE

q Maggiore controllo della qualità del lavoro dei dirigenti dell'ente locale
q Organizzazione di un magazzino generale contro lo sperpero dei soldi pubblici
q Costituzione di un controllo da parte dei cittadini e delle assocaizoni sul funzionamento della cosa pubblica.
q Completamento dell'organico dell'Ufficio Tecnico con assunzione di professionisti e riduzione drastica di incarichi di consulenza esterna.
q Potenziamento delle rete informatizzata pubblica per un accesso più fasile ed immediato alla documentazione

CULTURA

o Creare centri polivalenti pubblici per le iniziative culturali
o Tutelare tutti gli studiosi e gli studenti universitari offendo loro spazi di ricerca e azione sul territorio
o Incentivare la produzione indipendente e la creazione degli autori
o Adoperarsi sul diritto di tutti i cittadini all'accesso alla conoscenza e alla cultura

o Tutelare tutti gli studiosi e gli studenti universitari offendo loro spazi di ricerca e azione sul territorio. Questo è più complicato, i laboratori costano e parecchio.

o Incentivare la produzione indipendente e la creazione degli autori. Pensate ad una cosa del tipo etichetta indipendente, compartecipazione del comune alle spese di produzione o cosa?

o Adoperarsi sul diritto di tutti i cittadini all'accesso alla conoscenza e alla cultura. Una biblioteca vera per favore e soprattutto dove si possano trovare non dico dei testi specialistici, ma almeno dei seri manuali scientifici


DEMOCRAZIA E PARTECIPAZIONE

q Definizione di una carta dei diritti dei cittadini
q un diverso funzionamento degli organi preposti al governo
q Il coinvolgimento popolare nelle scelte strategiche di una amministrazione locale - come può essere appunto il bilancio - costituisce un terreno importante di iniziativa

DIRITTI DEGLI ANIMALI
q Tutelare le condizioni di vita degli animali
q Combattere gli allevamenti di animali da pelliccia
q Iniziative più incisive per tutelare le condizioni di trasporto e macellazione degli animali
q Costruzione di un canile
q Costituzione di un ufficio intervento per la difesa dell'animale e della promozione della sua integrazione nella città

DIRITTI DELLE PERSONE OMOSESSUALI
q Lavorare per il riconoscimento dei diritti civili delle donne lesbiche e degli uomini gay
q Riconoscimento delle unioni di fatto per aver accesso alle case popolari

ENERGIA
o Gestione pubblica del gas
o Riaffermare il principio della tariffa unica, salvaguardando una fascia nazionale protetta
o Impiantare delle stazioni scientifiche per lo studio su piccola scala delle fonti alternative, anche per coinvolgere i cittadini nella produzione dell'energia
o Combattere le tendenze alla privatizzazione della gestione dell'energia elettrica e dell'acqua


GIUSTIZIA
q Contrastare la demagogia sicuritaria ed emergenzialista e garantire sicurezza attraverso una politica di civiltà, a cominciare dal campo delle tossicodipendenze e dal tema dell'immigrazione

IMMIGRAZIONE
q Garantire al rifugiato l'effettivo godimento dei diritti sociali
q Estendere ai cittadini non-comunitari il diritto di voto attivo e passivo nelle elezioni locali
q Centro interculturale con scuola d'italiano e delle culture e lingue dei paesi d'origine
q Attrezzare un campo per i nomadi
q Costituzione di apposito ufficio per le politiche d'immigrazione e d'emigrazione

LAVORO
q riaffermare la centralità sociale di un lavoro fornito nella sfera pubblica
q Bisogna porre il freno alle privatizzazioni e anzi cominciare a riassorbire nella sfera pubblica tutti quei servizi fondamentali e continuativi esternalizzati in questi anniØ intervento con un progetto complessivo e a sostegno delle crisi
q assunzione di tutti i precari

LIBERTA' E RESPONSABILITA' FEMMINILE
q Difendere l'autodeterminazione della donna in materia di sessualità, procreazione, maternità
q Sostenere e tutelare la maternità anche nei luoghi di lavoro
q Tutela delle lavoratrici madri

OLTRE IL MUNICIPIO
q fra i poli urbani si stabiliscano relazione di complementarietà e in cui i processi di sviluppo si fondino sulla valorizzazione delle risorse locali in uno sforzo sinergico

PER UN NUOVO INTERVENTO PUBBLICO
q Arrestare privatizzazioni, deregolamentazioni,
q Rientro delle privatizzazioni
q Promuovere un piano di riconversione ambientale e innovazione del nostro sistema produttivo
q Ø Promuovere un piano di riconversione ambientale e innovazione del nostro sistema produttivo.
q Puntare sullo smaltimento dei rifiuti e sulle energie rinnovabili

PICCOLE IMPRESE LAVORO AUTONOMO E COOPERAZIONE
q Ridurre con le risorse recuperate dall'evasione la pressione fiscale sulle piccole imprese e il lavoro autonomo
q Garantire l'accesso al creditoSpingere le cooperative a ridefinirsi con lo spirito originario solidale

SANITA'
q Riqualificare il servizio sanitario pubblico
q Creazione di un fondo pubblico per le emergenze sanitarie
q Dotare di strutture efficienti tutti i servizi di frontiera
q Costituzione in ogni servizio di comitati di partecipazione e controllo composto da cittadini, associazioni e operatori dei servizi

SCUOLA
q Sostenere la scuola pubblica
q Investimenti nel recupero dell'edilizia scolastica
q Rendere gratuiti trasporti, mense, libri di testo
q Combattere la dispersione scolastica
q Maggiori rapporti tra scuola e ente locale

SERVIZI SOCIALI

q Riconoscimento pieno dei diritti delle persone con handicap, delle persone inabili al lavoro, delle persone che si sono ritirate dal lavoro: assistenza, integrazione, autodeterminazione, autonomia economica
q Aumento della spesa pubblica per finanziare i servizi sociali essenziali
q Introdurre forme di partecipazione e controllo dal basso
q Riaffermare, contro la logica della sussidiarietà, il ruolo gestionale del pubblico e il carattere non imprenditoriale dei servizi sociali

SPORT
q Maggiore utilizzo delle strutture esistenti al fine di privilegiare la partecipazione e non la visione sportiva
q Contrastare la privatizzazione e la mercificazione degli eventi sportivi
q sport va inteso come attività sociale e culturale e non come competizione per "professionisti".
q con autogestione del quartiere stesso, per un utilizzo più razionale delle strutture già esistenti come quelle delle scuole e quelle delle parrocchie.

TASSE

q Il criterio essenziale è l'assunzione della effettiva progressività delle imposte
q garantire a una fascia di utenti sfavoriti la gratuità dell'accesso a determinati servizi.
q agire sul recupero dell'evasione fiscale
q sistema impositivo e tariffe che accentui la pressione sui redditi più alti per compensare la riduzione su quelli più bassi.

TERZO SETTORE E ASSOCIAZIONISMO

q Valorizzare il terzo settore se ha potenzialità di innovazione e di allargamento della sfera dei diritti garantiti dal pubblico
q Mettere fine all'uso del terzo settore per esternalizzare servizi e sostituire a basso costo i dipendenti pubblici
q Promuovere e sostenere le attività associaztive

TRASPORTI
q Imputare al trasporto su gomma i suoi costi ambientali e sociali effettivi
q Allargamento del trasporto collettivo
q Ritornare al carattere pubblico delle aziende che gestiscono servizi pubblici
q Tutelare i cittadini e gli utenti in merito alla qualità del servizio
q Passare ad un sistema di trasporto pubblico

 

 

2. Il programma di Frosinonebenecomune
 

Elezioni amministrative – Frosinone, 6 e 7 maggio 2012

“PER UNA CITTA’ EQUA, SOLIDALE ED ECO-COMPATIBILE.

Idee per il governo locale

 

LE TRASFORMAZIONI STRUTTURALI DELLA CITTA’

Ormai da più di una ventina d’anni Frosinone è interessata da processi che ne hanno mutato non poco le caratteristiche.

Molto si potrebbe dire di queste modificazioni. Esse sono state interpretate in molti modi, di volta in volta mettendo in risalto gli elementi di continuità con i processi di urbanizzazione precedenti (un’ulteriore estensione dei confini urbani) o quelli di discontinuità, interpretati come vere e proprie rotture con i tradizionali processi di urbanizzazione.

 Nei processi di sostituzione di attività si è modificata in modo rilevante la composizione sociale degli abitanti. La ristrutturazione delle grandi imprese industriali ha alimentato la disoccupazione, per altri versi si è diffuso un precariato legato al decentramento produttivo e alla terziarizzazione ed, infine, si sono diffuse nuove professioni, in parte legate ad attività autonome eterodirette, in parte di eccellenza, in concomitanza con la crescita delle funzioni direzionali e “high tech”. Nel frattempo, si è assistito all’esodo soprattutto di fasce a reddito medio che si sono spesso ricollocate nelle aree suburbane.

 La città è anche mutata fisicamente. Il processo di ricambio della base economica non ha lasciato indenne lo spazio urbano. Grandi spazi vuoti si sono aperti nelle città per effetto della dismissione di attività produttive. I nuovi processi di ristrutturazione a livello centrale hanno contribuito ad esaltare la rendita urbana stimolando la realizzazione di opere e abitazioni destinate a ceti socialmente agiati. Le aree non interessate da questi processi di valorizzazione sono diventati spesso i nuovi contenitori di fasce marginali, a partire dagli immigrati extracomunitari, e le periferie hanno visto accentuare il loro degrado.

Frosinone è stata attraversata da dinamiche di tipo competitivo che hanno dato vita a percorsi di sviluppo differenziati, spesso con il potenziamento di alcune funzioni terziarie, anche se non particolarmente innovative. Nello stesso tempo anche se non si è visto crescere il peso demografico nel corso di questi anni, si è dato vita a strutture territoriali reticolari, spesso a ridosso delle aree urbane, giovandosi di un potenziale economico diffuso, spesso legato ad attività manifatturiere ristrutturate che non hanno determinato alcun aumento dell’occupazione.

 

IL RUOLO DEI GOVERNI LOCALI

In questo contesto, il ruolo del governo locale non è stato irrilevante. Tuttavia, qui è d’obbligo distinguere fra le trasformazioni che hanno investito le funzioni degli enti locali e le politiche da questi attivate. I due aspetti sono ovviamente correlati ma non esiste un’automaticità delle scelte a seguito della trasformazione delle funzioni. Questa premessa è indispensabile nel momento in cui ci avviciniamo ad una scadenza amministrativa così importante, dove decisiva sarà la connotazione dei programmi.

In generale, se il compito delle istituzioni pubbliche dovrebbe essere quello di attutire gli elementi di contraddizione sociale derivanti dalle trasformazioni economiche, dobbiamo riconoscere come la direzione assunta dalle politiche dell’ente locale nel corso di questi anni sia stata del tutto insoddisfacente. L’ente locale ha visto indebolire il loro ruolo diventando, per molti versi, impotenti di fronte alle trasformazioni in atto. 

Si è molto discusso in questi anni degli effetti della politica di riduzione della spesa pubblica. Spesso, però, non è emersa con necessaria evidenza il danno che ciò ha prodotto (uno dei settori più colpiti da queste scelte di politica economica). Il primo effetto è stato quello di una significativa riduzione dei trasferimenti, in modo particolare ai comuni. L’applicazione del patto di stabilità interno ha poi implicato: l’introduzione dell’addizionale Irpef, la limitazioni delle possibilità di indebitamento, l’alienazione di beni pubblici, la sollecitazione ad agire sulle tariffe dei servizi.

Le conseguenze di queste scelte sono stati assai pesanti. Da un lato, si è ridotta la capacità di investimento dell’ente pubblico, dall’altro, essendo cresciuta l’imposizione fiscale locale ed essendosi determinata una lievitazione delle tariffe, si è accentuato il disagio delle fasce a reddito basso.

 In questo contesto, vuoi per effetto di ben determinate scelte politiche nazionali, vuoi come reazione ai vincoli di spesa, vi è stato un pesante ridimensionamento del ruolo dei servizi pubblici locali. Ciò ha determinato nel campo dei servizi a rete, una forte propensione alla trasformazione o alla cessione del servizio ai privati. Inoltre, è continuata la cessione a terzi della gestione dei servizi socio-assistenziali, con ciò che questo ha comportato, spesso, in termini di calo della qualità del servizio e di deregolamentazione del lavoro.

 Analoga involuzione si è avuta sul piano delle politiche territoriali. Anche qui, sia per i vincoli di spesa che hanno limitato la possibilità di investimenti diretti per le acquisizione delle aree o per la realizzazione delle opere pubbliche, sia per le indubbie difficoltà derivanti dai rilevanti processi di trasformazione dello spazio urbano, si è assistito ad un mutamento degli orientamenti dell’azione politica. Si è così andato delegando la realizzazione di opere pubbliche ai privati, si è via via allentata la funzione prescrittiva dei piani per favorire processi di negoziazione coi soggetti privati, si è puntato sulla valorizzazione urbanistica di alcune aree di pregio a discapito delle aree periferiche o degradate.

Queste scelte sul piano urbanistico sono strettamente intrecciate con la filosofia che ha ispirato l’azione pubblica per ciò che riguarda le politiche di sviluppo locale. In virtù della necessità di creare le migliori condizioni per lo sviluppo di nuove attività imprenditoriali, si sono diffuse pratiche concertative sul piano locale, che spesso hanno ridotto ulteriormente il grado di tutela dei lavoratori, i vuoti urbani sono stati riempiti attraverso operazioni speculative, le scelte infrastrutturali (ivi comprese quelle per la mobilità) si sono uniformate alle esigenze delle nuove attività produttive. In generale, la città, riscoperta come merce, è stata oggetto di politiche di marketing.

 

LA CRISI DELLA CITTA’ SOLIDALE

Le dinamiche socio economiche e il loro intreccio inquadrano la dimensione delle attuali problematiche urbane. La città inclusiva e solidale, che per una lunga fase ha costituito il riferimento di una cultura amministrativa progressista è oggi in crisi per effetto, da un lato, di corpose trasformazioni socio-economiche e, dall’altro, di una deriva della cultura e delle pratiche politico-amministrative. Gli elementi salienti di tali crisi possono essere così descritti: 

  1. La città è oggi più squilibrata socialmente. Da un lato si assiste ad una polarizzazione nel reddito che in larga misura è dovuta alle trasformazioni dei mercati del lavoro urbano e alle scelte amministrative e politiche compiute. Cresce dunque l’iniquità sociale, ma cresce anche la frammentazione sociale. I più significativi aggregati di classe tendono ad indebolirsi (per effetto della deindustrializzazione e dell’esodo urbano), si dilata l’area del precariato e della sottooccupazione, crescono figure di lavoratori autonomi eterodiretti.
  1. La città è più sperequata spazialmente. Ciò significa che il diritto alla città tende a venir meno per effetto di una crescente appropriazione privata della stessa. Il fenomeno più appariscente è da sempre rappresentata, in tal senso, dalla esistente segregazione spaziale che si manifesta col giustapporsi di zone socialmente differenziate. In questo processo la periferia, tradizionale luogo del disagio sociale, si dilata anche nelle aree centrale, nei luoghi degradati non soggetti a riqualificazione. Nel frattempo, altre aree si propongono come centri direzionali, cui si possano affiancare aree residenziali di pregio, provocando una valorizzazione della rendita urbana che a sua volta contribuisce a selezionare socialmente i residenti.
  1. La città è meno solidale. L’indebolirsi della funzione redistributrice della politica locale, il ridimensionamento del sistema dei servizi sociali, il venir meno della certezza di diritti universali, erodono quel tessuto connettivo di protezione sociale che costituiva il fondamento della città inclusiva. Non solo, ma l’atomizzazione sociale prodotta dal venir meno di significative aggregazioni socio politiche, in presenza di rapide modifiche della struttura di classe e di processi di degrado sociale, alimenta ripiegamenti individualistici, atteggiamenti aggressivi e, più in generale, diffidenza verso le pratiche inclusive. La questione della sicurezza emerge qui in tutta la sua portata.
  1. La città è ambientalmente meno vivibile. Alle tradizionali contraddizioni sul piano ambientale si aggiungono gli effetti negativi derivanti dall’allargamento dell’area di gravitazione urbana, con ciò che questo comporta in termini di peggioramento della mobilità, dalle condizioni di degrado che si determinano in alcune aree della città per l’assenza di risorse pubbliche e per l’uso squilibrato di quelle disponibili, dal permanere e dall’estendersi dei fenomeni di inquinamento.
  1. Infine, la città è meno democratica. Lo è da diversi punti di vista. In primo luogo, per quanto riguarda il funzionamento delle istituzioni della democrazia rappresentativa. L’elezione diretta del sindaco ha comportato l’affermazione di un potere monocratico, delegittimando il ruolo delle assemblee elettive e, più in generale, sferrando un colpo mortale al ruolo dei partiti. Non solo, man mano che l’enfasi è stata posta sulle virtù del sindaco sempre di più si è accentuato il fenomeno della delega. In questo contesto non va assolutamente dimenticato un altro aspetto sostanziale. Mi riferisco alla progressiva cessione di funzioni pubbliche ai privati che ha progressivamente indebolito il ruolo delle istituzioni democratiche.

 

 CRISI DELLA POLITICA E PREMESSE PER UNA SVOLTA

 Se ho voluto mettere così in risalto le componenti della crisi urbana è perché ogni ragionamento sulle prospettive non può oggi che partire dalla consapevolezza dei guasti che si sono prodotti a livello locale. Da questo punto di vista le stesse dinamiche politiche che si sono verificate negli ultimi anni a livello amministrativo trovino una spiegazione (non marginale) in questi processi prodottisi a livello locale. La crisi sociale della città è così divenuta crisi politica.

Dietro la personalizzazione della politica il più delle volte si è cela una visione omologata delle politiche locali, in cui le differenze fra destra e sinistra sono progressivamente sfumate. Né ci pare secondario che gli elementi caratterizzanti la stagione del “buon governo” siano stati spesso superati da pratiche privatiste che hanno indebolito la coesione sociale.

Ma queste responsabilità politiche sono ancora maggiori a fronte dei nuovi fenomeni di scomposizione sociale che si sono prodotti, perché in assenza di un orientamento redistributivo/solidaristico il disagio sociale si è accentuato. Non solo, tale disagio si è tradotto in conflitto etnico, in pratica della delega e rapporto clientelare, nel ripiegamento su logiche individualistiche. 

La rinuncia ad intervenire sui processi in atto per contrastare la devastazione sociale, ha prodotto non solo disaffezione nelle fasce tradizionalmente collocate su posizioni progressiste, ma ha anche consentito l’affermarsi di un’egemonia moderata. Il micro-localismo, il conflitto etnico, la diffidenza per l’istituzione pubblica e, all’opposto, l’esaltazione della personalizzazione in politica costituiscono gli ingredienti di un disegno populista che punta a favorire la formazione di aggregati interclassisti, a-conflittuali e spoliticizzati, base di consenso per una gestione della città asservita ai poteri forti e proiettata nella dimensione di una competizione fra territori. 

Contrastare questa prospettiva e riaprire una stagione progressista nelle città non è facile. Le devastazioni, anche culturali che si sono prodotte nel corso di questi anni rendono difficile la prospettazione di una proposta organicamente alternativa. In particolare, è evidente, anche in ambienti progressisti, la penetrazione di una cultura di ispirazione liberista. Ciò è chiaramente visibile nel momento in cui ci si richiama alla necessità di ridurre la funzione pubblica e di valorizzare il protagonismo dei soggetti economici, ma è altresì evidente in alcune posizioni che finiscono (in larga misura) col celebrare una sorta di riscossa della società civile, in antitesi a quella politica, attraverso la riappropriazione privata di funzioni pubbliche. 

La nostra posizione è diversa. Noi consideriamo il recupero della “dimensione pubblica” un elemento essenziale per una proposta per le città capace di riaggregare un blocco sociale e politico alternativo. Questa scelta, naturalmente, non presuppone la riproposizione “sic et simpliciter” delle tradizionali pratiche del buon governo, anche se rispetto alla vulgata liberista che tanto danno ha fatto, alcuni capisaldi di quella impostazione restano tuttora validi. Da questo punto di vista, è evidente che il mutamento del paradigma economico, che ha così significativamente interessato le città determinando nuovi squilibri, si è affermato non senza contraddizioni. Da qui si deve ripartire. 

 

L’OBIETTIVO DELLA REDISTRIBUZIONE DEL REDDITO

 Una svolta nelle politiche urbane implica, in primo luogo, un disegno sociale e cioè l’individuazione dei soggetti sociali prioritari, dei loro bisogni e del percorso da attivare per dare risposta a tali bisogni. Di fronte ai processi di frammentazione in atto l’elemento significativo è rappresentato dalla crescente polarizzazione sociale. La polarizzazione sociale si esprime nei nuovi mercati del lavoro urbani, non solo e non tanto sulla base delle modalità del rapporto con il lavoro (disoccupati/occupati – lavoro dipendente/lavoro autonomo) quanto, sempre di più, attraverso gli squilibri di reddito. La condizione di reddito è l’elemento unificante. Essa consente di riconoscere nelle città un aggregato potenziale che passando attraverso il lavoro dipendente (pubblico e privato) a basso reddito si estende ai pensionati, ai giovani in cerca di occupazione, al settore del lavoro autonomo eterodiretto, per finire ai nuovi lavori precari (e servili) dove rilevante è la presenza di lavoratori extra-comunitari. 

Si tratta di un’area, in verità, disomogenea, in molti casi priva di una rappresentanza politico/sindacale. E, tuttavia, questo aggregato sociale vive un disagio reale. Il primo obiettivo da porsi, quindi, per riaggregare tali fasce è l’assunzione di una prospettiva di redistribuzione del reddito. Per molti versi si tratta di recuperare l’ispirazione delle esperienze più significative della cultura amministrativa riformista entrata in crisi nel corso degli ultimi anni. Favorire un processo significativo di redistribuzione del reddito nelle città significa agire, da un lato, sul sistema impositivo e, dall’altro, sulle tariffe. 

Il criterio essenziale è l’assunzione della effettiva progressività delle imposte. Ciò significa, in primo luogo, agire sul sistema delle imposte utilizzando tutte le possibilità per ridurre al minimo la pressione sui redditi più bassi. Ciò vale, a titolo d’esempio, per l’ICI, oltre che per quanto riguarda l’applicazione dell’aliquota, anche per quanto riguarda le possibili detrazioni. I nostri orientamenti sono noti; puntano a ridurre al minimo l’imposta per i proprietari di una sola abitazione a basso reddito. Analogamente, vanno rimodulate le tariffe dei servizi (compresi quelli a domanda individuali). 

In quest’ottica, riteniamo che sempre di più si debba garantire a una fascia di utenti sfavoriti la gratuità dell’accesso a determinati servizi. Ciò può valere per gli anziani, per fasce particolarmente sfavorite,  per soggetti non percettori di reddito (si pensi ai giovani). E’ naturale che il problema del reddito va considerato in tutte le sue sfaccettature. E’, per esempio, evidente che una politica significativa in termini redistributivi implicherebbe la dilatazione dell’offerta di servizi consentendo in tal modo di ridurre i costi sociali, oggi sostenuti dai singoli e dalle famiglie, attraverso l’offerta di prestazioni pubbliche. 

Il punto essenziale, tuttavia, è che questo orientamento, facendo lievitare la spesa pubblica, entra in collisione con le politiche restrittive adottate in questi anni. Il problema quindi si amplia alle scelte di carattere nazionale e comporta l’apertura di una battaglia politica generale. Gli assi di tale battaglia sono presto detti: 

  1. Innanzi tutto, il sostegno agli enti locali attraverso i trasferimenti deve essere rilanciato, né è pensabile che esso possa essere sostituito da pratiche di federalismo fiscale, il cui effetto se trovassero un’applicazione compiuta, diventerebbero devastanti, determinando, da un lato, una sperequazione fra i singoli enti locali in termini di capacità di spesa (le comunità ricche contro quelle povere), e, dall’altro, una probabile compressione della spesa sociale.
  1. In secondo luogo, le imposte vanno ridefinite, e non solo perché alcune sono socialmente inaccettabili, ma anche perché così come sono concepite vanificano in parte il rispetto di quel criterio di progressività che prima richiamavo. E’ il caso dell’addizionale IRPEF, che rischia di costituire un’aggravio certo solo per le fasce sociali più deboli e per la quale si dovrebbe pensare, quantomeno, a introdurre la totale esenzione al di sotto di un certo reddito.

Ma la necessità di intervenire sul piano delle scelte generali non fa venir meno l’esigenza di fare i conti da subito con le compatibilità di bilancio locali.  Per questo noi riteniamo che sul fronte delle entrate occorre agire sul recupero dell’evasione fiscale e sull’attivazione di canali alternativi di finanziamento, mentre sul fronte delle uscite riteniamo vadano compresse le spese inutili. In ossequio ad una politica redistributiva e in presenza di forti vincoli di bilancio, va sostenuta la correttezza di una scelta su sistema impositivo e tariffe che accentui la pressione sui redditi più alti per compensare la riduzione su quelli più bassi

 

DIFESA E  RIQUALIFICAZIONE DEL  WELFARE URBANO

 Come si è detto, in una logica redistributiva l’intervento sui servizi è essenziale. Ma è altrettanto verso che il welfare locale non esplica i suoi benefici esclusivamente sul piano del reddito, esso rappresenta una condizione essenziale per rimuovere i fattori di emarginazione, per sottrarre il cittadino dal ricatto del bisogno, per favorire la ricostruzione di una coesione sociale Per molti versi, anzi, la disponibilità di una rete efficiente di servizi costituisce la condizione essenziale per dare senso al concetto di cittadinanza. Anche su questo terreno, tuttavia, ci si scontra con gli orientamenti recenti della legislazione e con le concrete pratiche amministrative. Non è un caso, ad esempio, che anche nelle trattative in corso con le forze del centro sinistra, in vista delle prossime elezioni amministrative, spesso si registrino difficoltà di intesa su questo punto. 

Al centro di una battaglia per la difesa e la riqualificazione del welfare urbano sta la garanzia della disponibilità di una rete di servizi di buona qualità adeguatamente estesa, di facile accesso e capaci di intervenire anche sulle nuove forme di disagio sociale. Questa scelta generale implica pertanto, in controtendenza con le scelte che si sono compiute in questi anni, l’assunzione di principi quali: la garanzia dell’universalità dei diritti, il rifiuto al ripiegamento su concezioni individualiste o familiste, il rifiuto a concezioni che perseguono l’obiettivo di un Welfare residuale, il riconoscimento della centralità dell’intervento pubblico. Si tratta, come è evidenti di un approccio alternativo a quello dominante. 

Il bisogno di servizi sul territorio è ancora largamente insoddisfatto: non solo in alcune parti del paese anche servizi elementari come quelli a rete non sono garantiti, ma spesso la dotazione dei servizi è insufficiente (si pensi a tutta la partita dell’assistenza, asilo nido) o il loro accesso è troppo oneroso (si pensi alle strutture per la sanità). E si consideri inoltre l’assenza, molto spesso, di servizi in grado di far fronte alle nuove emergenze. Valga per tutto la necessità di strutture che garantiscano il pieno inserimento nella comunità dei cittadini extracomunitari, o interventi efficaci per il superamento del disagio giovanile. Qui, in realtà, la gamma di strutture necessario tende ad amplificarsi e proprio per questa ragione dovremmo proporre un’idea di welfare allargato che si costruisca a partire dalla mappa dei bisogni urbani. 

Questo tessuto di servizi richiede una gestione pubblica. Una gestione pubblica è, infatti, garanzia di controllabilità sociale delle prestazioni erogate e della loro efficacia sociale. Per questo va opposta una forte resistenza alle operazioni di privatizzazione, tanto per ciò che riguarda i servizi a rete che per quanto riguarda i servizi sociali. Ciò significa ostacolo alla trasformazione in SPA dei servizi a rete, a maggior ragione rifiuto ad una loro assegnazione tramite gare d’appalto, gestione dei servizi sociali tramite modalità pubbliche (l’istituzione), rifiuto della logica dei bonus e dell’attribuzione alle famiglie (il che significa: alle donne) di un ruolo sostitutivo a quello pubblico. 

Questa scelta non configura un’adesione acritica alle modalità di gestione pubblica. La riforma del welfare è una necessità ma non ci convincono le tesi di quanti fanno coincidere tale riforma con la privatizzazione. Questa scelta può comportare effetti socialmente negativi: dalla riduzione dell’occupazione, all’aumento delle tariffe, alla riduzione qualitativa e quantitativa dello stesso servizio. Per queste ragioni, se non si può negare che, nell’arcipelago del terzo settore, vi sono molte realtà interessanti, tuttavia le tendenze a dismettere servizi pubblici affidandoli al privato sociale costituiscono scelte discutibili che non mettono al riparo da rischi evidenti, sia sul piano della qualità del servizio, sia su quello delle modalità di utilizzo del personale.  La nostra scelta si fonda, invece, sul ruolo puramente “integrativo” del privato sociale e sulla estensione dell’integrazione del volontariato nelle strutture pubbliche.   

Il vero banco di prova del servizio pubblico passa attraverso il controllo sulla qualità. Da questo punto di vista, non c’è dubbio che in molte realtà tale qualità non sia adeguata. Il punto è che noi riteniamo centrale per la riqualificazione dei servizi un’intervento di controllo dei destinatari e cioè degli utenti. E riteniamo che, dovunque sia possibile, gli stessi utenti debbano essere coinvolti anche nella gestione. Da questo punto di vista, è evidente che questa invasione della sfera pubblica da parte dei cittadini implica modalità di autorganizzazione della società civile affiancate da processi reali di decentramento delle funzioni istituzionali. Non solo, questa ridefinizione qualitativa del welfare urbano si intreccia con l’esigenza di ripensare le forme dell’organizzazione sociale. La questione della differenza di genere, pur intrecciandosi con l’insieme delle problematiche urbane, assume a tale proposito una  rilevanza particolare, date le tendenze sempre più marcate all’affidamento alle famiglie, - e quindi alle donne -  di funzioni sociali che dovrebbero invece essere  garantite dal pubblico. 

 

PER UNO SVILUPPO ECO-COMPATIBILE 

 Il potenziamento delle funzioni redistributive e la garanzia di un forte welfare urbano, non sono sufficienti a garantire un uso perequato della città e l’effettivo esercizio del diritto al suo godimento. A questo livello, l’attenzione si deve spostare sul disegno complessivo dello sviluppo urbano e qui tutto si fa più difficile, in primo luogo, perché entrano in gioco interessi forti, sistemi di potere consolidati. In gran parte la partita si gioca intorno alla questione della pianificazione territoriale e del suo ruolo nel controllo della crescita urbana. Il punto decisivo e che se è vero che la crescente complessità della realtà urbana rende più difficile la funzione pianificatoria non vi sono ragioni, tuttavia, per trasformarla in un processo negoziale in cui, come è evidente, i singoli contano in ragione del loro potere economico. 

La nostra sollecitazione alla ridefinizione di una strumentazione urbanistica efficace nasce proprio da qui, e cioè dalla convinzione che, senza il contenimento della rendita urbana, la battaglia per la rigenerazione della città sia persa in partenza. Il punto non è quindi tanto quello di tener conto delle dinamiche sociali ed economiche in atto, da cui non si può prescindere, ma se esista o meno da parte dell’operatore pubblico la volontà/possibilità di piegare gli interessi privati all’interesse collettivo. Da questo punto di vista si può discutere sulle innovazioni da introdurre nella strumentazione di  piano; il problema è che, in ogni caso, deve esistere una correlazione fra obiettivi e strumenti e gli obiettivi non possono essere definiti a prescindere dall’interesse generale. 

Sulla base di questa premessa, la nostra idea di città muove dall’esigenza di attivare una forte iniziativa pubblica per recuperare i luoghi socialmente ed urbanisticamente degradati al fine di ricostruire condizioni di socialità e restituire valori ambientali. Per questo riteniamo centrale l’intervento sulle vecchie e le nuove periferie. In questo contesto consideriamo anche vitale recuperare spazi urbani ad un uso sociale e qui, davvero, la partita dei vuoti urbani costituisce un elemento decisivo. Il liberarsi di spazi in precedenza occupate da attività produttive divenute obsolete o soggette a trasferimento offre l’opportunità di una rivitalizzazione ambientale e sociale.

In generale, un significativo intervento pubblico sulla città, oltre ad essere decisivo ai fini di una sua rigenerazione, può determinare fenomeni virtuosi sul piano occupazionale, in conformità con una impostazione neo-keynesiana. 

A partire da queste considerazioni, si prospetta la proposta di un nuovo modello di sviluppo urbano. Rispetto ai processi in corso che poggiano su una ridefinizione del ruolo delle città attraverso la valorizzazione delle funzioni terziarie qualificate, quando non semplicemente sulla valorizzazione del patrimonio immobiliare, una idea alternativa di città non può che poggiare sulla sinergia e sulla multipolarità. Ciò che va messo a valore è l’insieme delle risorse sociali, ambientali e culturali. [la città delle 20 piazze]

In questa ottica, per esempio, acquista un ruolo particolare la valorizzazione delle strutture commerciali esistenti o delle sopravvivenze artigianali, come parti integranti di un processo di riqualificazione urbana contro l’idea dei centri commerciali “da vivere”. 

La sfida per la trasformazione delle città in luoghi dell’innovazione va accettata ma per piegarla alla valorizzazione complessiva delle risorse scientifiche e culturali disponibili. Ciò significa che uno sviluppo di eccellenza va inserito in circuiti culturali più complessivi che attivino l’insieme dell’ intelligenza sociale  Questa è una risorsa utile anche per le città minori come Frosinone, dove l’attività di tipo culturale rappresenta una risorsa importante per la rigenerazione urbana. Ma uno sviluppo scientifico di eccellenza implica lo sviluppo parallelo delle reti di connessione, da quelle tecnologicamente più sofisticate al sistema dei trasporti. 

Infine, tutto ciò deve poggiarsi sull’assunzione di una priorità e cioè quella della sostenibilità ambientale come grande discriminante nelle scelte di sviluppo locale. Da questo punto di vista la rivoluzione post fordista apre nuove possibilità ma tali possibilità implicano l’assunzione di un progetto consapevole. I tratti di questo progetto si possono cosi descrivere: l’intreccio fra città e territorio con la scomparsa della tradizionale dicotomia città-campagna, la chiusura a livello locale dei cicli dell’acqua, dei rifiuti, dell’alimentazione per la creazione di economie integrate su base territoriale, la riduzione della domanda di mobilità, la rigenerazione delle strutture esistenti e abbandonate, la valorizzazione del patrimonio paesistico ambientale come risorsa di sviluppo, l’assunzione del risanamento urbano e la lotta all’inquinamento come obiettivi strategici.

 

DEMOCRAZIA, PARTECIPAZIONE, CONFLITTO

 Nella prospettiva di una città equa, solidale ed ecocompatibile la questione democratica riveste un’importanza essenziale. Essa è la condizione per costruire un consenso intorno ad un progetto di città e per verificarne l’attuazione. Non solo, il pieno sviluppo della democrazia è la condizione essenziale per riaprire una dialettica di posizioni in grado di vincere le tendenze all’omologazione culturale, alla delega, al prevalere di spinte localiste. In poche parole, la costruzione di un’assetto democratico della società locale consente di ripristinare quel pluralismo politico che è condizione essenziale per la ridefinizione di un blocco progressista. 

Una riforma democratica della città passa, in primo luogo, attraverso un diverso funzionamento degli organi preposti al governo delle stesse città. Non sono da sottovalutare le devastazioni provocate dall’introduzione del presidenzialismo nelle istituzioni locali. Il punto ora però è come si reagisce a questa involuzione. E’ questo un terreno interessante da praticare nella definizione delle alleanze: un impegno alla valorizzazione delle assemblee elettive e dei percorsi democratici. In verità nulla impedisce ad una amministrazione comunale di far dibattere il consiglio sulle scelte giuntali, nulla impedisce che si tengano periodicamente bilanci sull’applicazione del programma amministrativo, nulla impedisce che su alcune tematiche rilevanti si tengano sessioni apposite del consiglio. 

Se un simile indirizzo può consentire, di restituire, almeno parzialmente, un ruolo al consiglio comunale, è evidente che una particolare importanza assume l’attivazione di una partecipazione democratica. Ora, benchè negli statuti siano elencati gli strumenti di partecipazione e i diritti di informazione, nondimeno dal punto di vista pratico raramente questi strumenti sono utilizzati. La questione decisiva è allora quella del come si promuovono gli strumenti di partecipazione. Ed anche qui molto si può fare. Si pensi alla questione dell’informazione che costituisce la base per ogni ragionamento sulla democrazia. E’ possibile attraverso le nuove opportunità offerte dalle tecnologie consentire al cittadino un’informazione esauriente sull’attività amministrativa, sulle scelte compiute e sull’esercizio dei propri diritti? 

Ma la scommessa democratica implica anche l’attivazione di strumenti di consultazione più frequenti, previsti di regola e non come eccezione. L’esperienza di Porto Alegre e del bilancio partecipato fornisce un terreno su cui lavorare. Il coinvolgimento popolare nelle scelte strategiche di una amministrazione locale - come può essere appunto il bilancio - costituisce un terreno importante di iniziativa. Sempre in tema di partecipazione, la questione dei poteri degli organi di decentramento (laddove sono previsti) diviene essenziale. In questo caso è centrale conseguire il rafforzamento dei poteri di gestione, oltre che di quelli consultivi. 

In questo percorso democratico un punto esenziale è rappresentato dalla ricostruzione della strutture della società civile. Con la fine del partito comunista e con il depotenziamento di alcune strutture di massa, si è indebolito non poco quel tessuto associativo che rappresentava un presidio democratico di eccezionale importanza. Si pensi alle case del popolo, a tante organizzazioni culturali, ad un’associazionismo laico e di sinistra. Oggi queste strutture sono state in gran parte soppiantate da altre modalità aggregative,  espressione anche di una istanza di partecipazione, ma questa molteplicità di iniziative sociali, ha bisogno di un sostegno e di una piena valorizzazione. Liberata da logiche clientelari, l’iniziativa pubblica può a tale riguardo costituire uno strumento essenziale per ricostruire un insediamento sociale strutturato che si poggi su reti di relazioni sociali e nuove modalità partecipative. 

Infine, la questione della democrazia allude anche alla questione del conflitto.  Certo non è compito di un’amministrazione locale promuovere il conflitto, il problema è come lo si governa. E nelle modalità di governo rientra in primo luogo la propensione ad aprire le istituzioni al conflitto, riconoscendo i soggetti conflittuali, aprendo relazioni, instaurando un rapporto di confronto, nel rispetto delle rispettive collocazioni. Queste esigenza non nasce solo dalla necessità di comportamenti rispettosi di un pluralismo di idee quanto dal riconoscimento della stessa parzialità della funzione di governo, non potendo le istituzioni in sé esaurire l’ambito della rappresentanza.

 

OLTRE IL MUNICIPIO 

 Questi assi non danno risposta alla totalità delle problematiche e la loro articolazione dovrebbe essere più puntuale. Nell’accostarsi al problema urbano, si rende evidente la parzialità di un approccio municipalistico. Man mano che si affrontano le tematiche più rilevanti e ci si cimenta nel definire obiettivi, più ci si rende conto che la dimensione urbana è parte di uno scenario più ampio. Lo si può notare nelle stesse dinamiche urbane dove la dilatazione degli insediamenti sul territorio rende sempre più rilevante la programmazione di “area vasta”, ma lo si può constatare anche sulla base dell’analisi che si è tentato di condurre relativamente a specifici aspetti della realtà urbana. E’ possibile una politica di servizi che non sia integrata su ampia scala? E’ possibile affrontare le emergenze ambientali senza una programmazione di livello almeno regionale? 

Peraltro, a questo nodo non si sfugge nel momento in cui si vuole definire un progetto per la città perché è del tutto evidente che se dovesse prevalere  la logica della competizione fra territori ogni ipotesi di crescita equilibrata, ecocompatibile e socialmente inclusiva tenderebbe a saltare in nome dell’esigenza di finalizzare le risorse e l’iniziativa pubblica al perseguimento dell’obiettivo dell’efficienza capitalistica. Nell’ottica, invece, di uno sviluppo socialmente equilibrato è essenziale il prevalere di una logica non gerarchica, in cui fra i poli urbani si stabiliscano relazione di complementarietà e in cui i processi di sviluppo si fondino sulla valorizzazione delle risorse locali in uno sforzo sinergico. Lo sviluppo urbano implica quindi un  disegno programmatorio di larga scala, pena consegnare lo sviluppo urbano alle dinamiche spontanee del mercato. 

Ma una programmazione generale non può soffocare l’esigenza di autonomia delle comunità. Come connettere allora queste due esigenze in parte contraddittorie? La strada fini ad ora perseguita sta rivelando tutte le sue contraddizioni. Dietro l’enfasi che accompagna il nuovo progetto federalista si celano contraddizioni vistosissime. Il rafforzamento delle regioni, così come viene prospettato, non risolve i problemi dello sviluppo e dell’autonomia delle comunità locali. Infatti, il rafforzamento di alcune competenze delle regioni e soprattutto la loro autonomizzazione dalla programmazione nazionale può indebolire ulteriormente l’autonomia dei comuni che possono finire in balia delle scelte compiute a livello regionale, senza essere tutelati adeguatamente da un quadro normativo nazionale. Inoltre, il decentramento delle funzioni amministrative ai comuni  può trovare ostacoli da parte delle istanze regionali, non sempre disponibili ad alienare le competenze di cui dispongono. 

Nel complesso, quindi, la prospettiva di valorizzazione delle città, di una loro rigenerazione sociale, non passa né attraverso il ritorno al municipalismo, come recupero (improbabile) di una dimensione locale sottratta ai processi di globalizzazione, né attraverso l’assunzione del paradigma federalistico, con le sue declinazioni neo regionaliste. Alla fin fine, probabilmente, la miglior garanzia per la valorizzazione delle risorse locali sta in un disegno istituzionale complesso in cui l’autonomia, intesa come dilatazione delle forme di autogoverno, si estenda a cascata fino ai comuni, dando vita ad una struttura nazionale la cui unità si fondi su un solido e condiviso insieme di diritti, su un sistema finanziario che garantisca solidarietà ed equità e su una strumentazione di programmazione sociale ed economica che garantisca lo sviluppo armonico delle istanze locali.

 

3. EQUA, SOLIDALE ED ECO-COMPATIBILE.IDEE PER IL GOVERNO LOCALE".

SINTESI DEL PROGRAMMA

IL LAVORO STABILE E PUBBLICO COMPATIBILE CON L'AMBIENTE E LA CULTURA
La risoluzione della crisi occupazionale è metro i misura della capacità di gestire la cosa pubblica. Gli ultimi governi della città hanno accentuato la precarizzazione del lavoro promuovendo nuove figure precarie all'interno dell'ente: contrattisti, collaboratori, agenzie i lavoro interinale, cooperative.
Occorre riaffermare la centralità sociale di un lavoro fornito nella sfera pubblica, quale strumento di civiltà, libertà, emancipazione e quale mezzo indispensabile per il miglioramento della qualità della vita. Bisogna porre il freno alle privatizzazioni e anzi cominciare a riassorbire nella sfera pubblica tutti quei servizi fondamentali e continuativi esternalizzati in questi anni.
L'idea di mettere a valore l'intero territorio per trovare spazi di competitività possibili non può essere una politica di lungo periodo. Il concetto della infinità delle risorse è già stato ampiamente messo in discussione. Il mercato non può assolutamente essere il regolatore delle esigenze e dei bisogni della popolazione. Frosinone è stata voluta come realtà industriale, oggi la si vuole come città di servizi. Nella Provincia oltre 50.000 persone in poco meno di 5 anni si sono aggiunte nelle liste di disoccupazione, dopo che si sono persi almeno 30.000 posti nell'industria. Oltre 100.000 sono ufficialmente le persone in cerca di occupazione stabile!
Basti pensare alle grandi opere già passate sul nostro territorio (terza corsia e alta velocità) per respingere la sola idea di un'altra opera faraonica come l'aeroporto. Questa idea determinerebbe formalmente la morte della attività produttiva nella nostra zona. Darebbe l'ultimo e decisivo colpo ad una idea pur oggi difficile ma possibile di riconversione secondo un altro modello di sviluppo della esistente attività produttiva con tutte le professionalità, infrastrutture, cultura oggi ancora rintracciabili.
Vi è la necessità che la politica intervenga con un progetto complessivo e a sostegno delle crisi che ci sono e che ci saranno. Nessuna istituzione si è spesa fino in fondo per tutelare, governare, coinvolgere, iniziare un processo di difesa o riconversione in una logica più generale.

L'OBIETTIVO DELLA REDISTRIBUZIONE DEL REDDITO
Il criterio essenziale è l'assunzione della effettiva progressività delle imposte. Ciò significa, in primo luogo, agire sul sistema delle imposte utilizzando tutte le possibilità per ridurre al minimo la pressione sui redditi più bassi.
Riteniamo che sempre di più si debba garantire a una fascia di utenti sfavoriti la gratuità dell'accesso a determinati servizi. Ciò può valere per gli anziani, per fasce particolarmente sfavorite, per soggetti non percettori di reddito (si pensi ai giovani).
Ma la necessità di intervenire sul piano delle scelte generali non fa venir meno l'esigenza di fare i conti da subito con le compatibilità di bilancio locali. Per questo noi riteniamo che sul fronte delle entrate occorre agire sul recupero dell'evasione fiscale e sull'attivazione di canali alternativi di finanziamento, mentre sul fronte delle uscite riteniamo vadano compresse le spese inutili. In ossequio ad una politica redistributiva e in presenza di forti vincoli di bilancio, va sostenuta la correttezza di una scelta su sistema impositivo e tariffe che accentui la pressione sui redditi più alti per compensare la riduzione su quelli più bassi.

DIFESA E RIQUALIFICAZIONE DEL WELFARE URBANO
Al centro di una battaglia per la difesa e la riqualificazione del welfare urbano sta la garanzia della disponibilità di una rete di servizi di buona qualità adeguatamente estesa, di facile accesso e capaci di intervenire anche sulle nuove forme di disagio sociale.
La dotazione dei servizi è insufficiente (si pensi a tutta la partita dell'assistenza, asilo nido) o il loro accesso è troppo oneroso (si pensi alle strutture per la sanità). E si consideri inoltre l'assenza, molto spesso, di servizi in grado di far fronte alle nuove emergenze. Valga per tutto la necessità di strutture che garantiscano il pieno inserimento nella comunità dei cittadini stranieri extracomunitari, o interventi efficaci per il superamento del disagio giovanile.
La riforma del welfare è una necessità ma non ci convincono le tesi di quanti fanno coincidere tale riforma con la privatizzazione. Questa scelta può comportare effetti socialmente negativi: dalla riduzione dell'occupazione, all'aumento delle tariffe, alla riduzione qualitativa e quantitativa dello stesso servizio.
Il vero banco di prova del servizio pubblico passa attraverso il controllo sulla qualità. Da questo punto di vista, non c'è dubbio che in molte situazioni tale qualità non sia adeguata. Centrale per la riqualificazione dei servizi è un intervento sul controllo dei destinatari e cioè degli utenti. E riteniamo che, dovunque sia possibile, gli stessi utenti debbano essere coinvolti anche nella gestione.

PER UNO SVILUPPO ECO-COMPATIBILE
L'attenzione si deve spostare sul disegno complessivo dello sviluppo urbano, della pianificazione territoriale e del suo ruolo nel controllo della crescita urbana.
La nostra sollecitazione alla ridefinizione di una strumentazione urbanistica. Da questo punto di vista si può discutere sulle innovazioni da introdurre nella strumentazione di piano; il problema è che, in ogni caso, deve esistere una correlazione fra obiettivi e strumenti e gli obiettivi non possono essere definiti a prescindere dall'interesse generale.
Una forte iniziativa pubblica per recuperare i luoghi socialmente ed urbanisticamente degradati al fine di ricostruire condizioni di socialità e restituire valori ambientali. Per questo riteniamo centrale l'intervento sulle vecchie e le nuove periferie, oltre che del centro storico. In questo contesto consideriamo anche vitale recuperare spazi urbani ad un uso sociale e qui, davvero, la partita dei vuoti urbani costituisce un elemento decisivo.
Tutto ciò deve poggiarsi sull'assunzione di una priorità e cioè quella della sostenibilità ambientale come grande discriminante nelle scelte di sviluppo locale. I tratti di questo progetto si possono cosi descrivere: l'intreccio fra città e territorio con la scomparsa della tradizionale dicotomia città-campagna, la chiusura a livello locale dei cicli dell'acqua, riportando la questione della privatizzazione del bene comune acqua ad un totale controllo pubblico, dei rifiuti, dell'alimentazione per la creazione di economie integrate su base territoriale, la riduzione della domanda di mobilità, la rigenerazione delle strutture esistenti e abbandonate, la valorizzazione del patrimonio paesistico ambientale come risorsa di sviluppo, l'assunzione del risanamento urbano e la lotta all'inquinamento come obiettivi strategici.

DEMOCRAZIA, PARTECIPAZIONE, CONFLITTO
Nella prospettiva di una città equa, solidale ed ecocompatibile la questione democratica riveste un'importanza essenziale.
Nulla potrà più essere deciso senza l'effettivo coinvolgimento della popolazione tutta e di quei settori di volta in volta maggiormente interessati nelle decisioni.
La politica nella nostra città non esiste più. Il consiglio comunale è svuotato della maggior parte di decisioni in favore della giunta. Una riforma democratica della città passa, in primo luogo, quindi attraverso un diverso funzionamento degli organi preposti al governo delle stesse città. In verità nulla impedisce ad una amministrazione comunale di far dibattere il consiglio sulle scelte giuntali, nulla impedisce che si tengano periodicamente bilanci sull'applicazione del programma amministrativo, nulla impedisce che su alcune tematiche rilevanti si tengano sessioni apposite del consiglio.
Una particolare importanza assume l'attivazione di una partecipazione democratica. La questione decisiva è allora quella del come si promuovono gli strumenti di partecipazione. Si pensi alla questione dell'informazione che costituisce la base per ogni ragionamento sulla democrazia.
L'attivazione di strumenti di consultazione più frequenti, previsti di regola e non come eccezione. L'esperienza di Porto Alegre e del bilancio partecipato fornisce un terreno su cui lavorare. Il coinvolgimento popolare nelle scelte strategiche di una amministrazione locale - come può essere appunto il bilancio - costituisce un terreno importante di iniziativa
Ricostruzione della strutture della società civile. Liberata da logiche clientelari, l'iniziativa pubblica può a tale riguardo costituire uno strumento essenziale per ricostruire un insediamento sociale strutturato che si poggi su reti di relazioni sociali e nuove modalità partecipative.
La questione della democrazia allude anche alla questione del conflitto. Certo non è compito di un'amministrazione locale promuovere il conflitto, il problema è come lo si governa. E nelle modalità di governo rientra in primo luogo la propensione ad aprire le istituzioni al conflitto, riconoscendo i soggetti conflittuali, aprendo relazioni, instaurando un rapporto di confronto, nel rispetto delle rispettive collocazioni.

OLTRE IL MUNICIPIO
Nell'accostarsi al problema urbano, si rende evidente la parzialità di un approccio municipalistico. Man mano che si affrontano le tematiche più rilevanti e ci si cimenta nel definire obiettivi, più ci si rende conto che la dimensione urbana è parte di uno scenario più ampio.
Nell'ottica, invece, di uno sviluppo socialmente equilibrato è essenziale il prevalere di una logica non gerarchica, in cui fra i poli urbani si stabiliscano relazione di complementarietà e in cui i processi di sviluppo si fondino sulla valorizzazione delle risorse locali in uno sforzo sinergico. Lo sviluppo urbano implica quindi un disegno programmatorio di larga scala, pena consegnare lo sviluppo urbano alle dinamiche spontanee del mercato.